Il fregio della vita
"L'arte è il sangue del nostro cuore" (Edvard Munch).
Esistono artisti che nei loro quadri esprimono il loro pensiero pittorico, le loro idee e i loro obiettivi. Altri invece scelgono di rappresentare temi ricorrenti come l'amore e la povertà in maniera diretta e semplice. Oppure c'è chi ha scelto di servirsi delle immagini più assurde per dare libero sfogo alla propria fantasia. Però esiste anche chi ha scelto di raccontare la devastazione del proprio animo attraverso immagini turbanti e talvolta inquietanti, che provocano una sublime senso di angoscia. Beh, se con un quadro riesci a scatenare questo turbinio di emozioni vuol dire che sei riuscito a diventare un tutt'uno con la tela e che hai narrato la tua vita con maestria, scendendo nei meandri più oscuri dei tuoi ricordi.
Esistono artisti che nei loro quadri esprimono il loro pensiero pittorico, le loro idee e i loro obiettivi. Altri invece scelgono di rappresentare temi ricorrenti come l'amore e la povertà in maniera diretta e semplice. Oppure c'è chi ha scelto di servirsi delle immagini più assurde per dare libero sfogo alla propria fantasia. Però esiste anche chi ha scelto di raccontare la devastazione del proprio animo attraverso immagini turbanti e talvolta inquietanti, che provocano una sublime senso di angoscia. Beh, se con un quadro riesci a scatenare questo turbinio di emozioni vuol dire che sei riuscito a diventare un tutt'uno con la tela e che hai narrato la tua vita con maestria, scendendo nei meandri più oscuri dei tuoi ricordi.
Edvard Munch nacque in Norvegia, a Loten, il 12 dicembre del 1863. Solamente un anno dopo la sua famiglia si trasferì per motivi lavorativi ad Oslo e a seguire accaddero diverse disgrazie: la madre morì di tubercolosi nel 1868, nove anni dopo la sorella Sophie fu stroncata dallo stesso male e il padre sviluppò un animo malinconico e depresso. In questo periodo si formò l'uomo Munch, un uomo cresciuto con i racconti di Edgar Allan Poe e i primi avvicinamenti all'arte dell'epoca. Successivamente frequentò prima un istituto tecnico e dopo fu autorizzato dal padre ad accedere ad una scuola di disegno, sempre ad Oslo. Produsse i suoi primi lavori e ricevette un'ottima preparazione da Christian Krohg. Il trasferimento a Parigi fu una grande opportunità, come del resto per tutti gli artisti dell'epoca, e apprezzò particolarmente la risposta al Realismo di Paul Gauguin, iniziatore del Sintetismo. Sua grande opera dell'epoca è "Malinconia", datata 1891.
L'opera viene intesa oggi come la rappresentazione universale della malinconia e della tristezza. La scena rappresentata è accaduta veramente e lo stesso Munch raccontò di come la donna presente in lontananza gli ricordasse una relazione finita male, probabilmente il motivo principale della malinconia della figura in prima piano. Le linee ondulate e il cielo sereno trasmettono comunque un'aria ottimista. C'è da dire che poche opere in passato sono riuscite a trasmettere una determinata emozione in maniera così forte e decisa. Inoltre il quadro, grazie alla presenza di pochissimi elementi, riesce ad esprimere una sensazione di vuoto, di incompletezza.
Krohg apprezzò molto l'opera e le sue recensioni positive portarono Edvard alla notorietà anche in terra tedesca. Quest'ultimo si recò per una mostra a Berlino, una città in quel tempo divisa tra gli innovatori e i tradizionalisti, i quali chiesero ed ottennero la chiusura della mostra di Munch. Il pittore norvegese rimase molto divertito dalla situazione venutasi a creare e allo stesso tempo proseguì il suo percorso di maturazione pittorica che portò ad alcuni celebri quadri come "La morte nella stanza della malata", un'opera dove la malinconia raggiunge livelli più lugubri, e soprattutto "L'urlo".
Risalente al 1893, si tratta di una sorta di opera autobiografica, come quasi tutta la produzione di Munch. L'opera è per antonomasia i simbolo dell'angoscia e del tormento.
Per quanto riguarda gli elementi presenti, il parapetto del ponte taglia il quadro diagonalmente in due parti, in quella superiore troviamo la natura in tutta la sua ferocità con le nuvole rosso sangue e il mare agitato che trasmette rabbia; nella parte inferiore si passa all'angoscia umana e ad un senso di tragico isolamento. L'urlo della figura in primo piano squarcia tutta la scena, la sagoma è sinuosa e ricorda uno spirito, le figure in secondo piano rimangono rigide. Il tutto è un esplosione di sentimenti ed emozioni sprigionate da un urlo che però non deve rappresentare una liberazione: infatti pare più un urlo sordo, soffocato, incapace di portare serenità.
"Camminavo lungo la strada con due amici quando il Sole tramontò. Il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto, sul fiordo nerazzurro e sulla città c'erano lingue di fuoco, i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo pervadeva la natura" (Edvard Munch).
Uno degli obiettivi più ambiziosi di Munch fu quello di creare una mostra capace di riunire attraverso un'attenta analisi tutte le sue tele. Questa mostra prese il nome di "Fregio della vita", un capolavoro dell'arte moderna dove una sere di opere di un singolo artista sono state assemblate come i pezzi di un puzzle andando a spiegare tutto il suo pensiero artistico e sulla vita. Il percorso tracciato dal norvegese è mirato a raccontare l'amore come una parabola discendente e vede un primo ciclo di sei opere a tema "il seme dell'amore", seguito da un secondo ciclo che vede la dissoluzione di quest'amore. Successivo a "Malinconia", opera conclusiva della seconda parte, troviamo un terzo ciclo di cinque tele rappresentanti l'angoscia dell'uomo dovuta all'amore distrutto. Ovviamente ne fanno parte "L'urlo", "Golgota" e "Sera sul viale Karl Johan".
Il percorso che ci indica Munch infine ci porta al tema della morte, che viene raccontata con dipinti come "La morte nella stanza della malata" e "La madre morta e la bambina".
Questo viaggio attraverso la psiche di Edvard è chiaro: cerca di dirci che ogni amore vive solo di momenti passeggeri, come i baci e i balli della prima serie, e che prima o poi finisce irrimediabilmente male e si trascina dietro solo angoscia e morte. La mostra venne esposta interamente nel 1902 e ricevette commenti sia positivi che negativi dai critici dell'epoca.
"Sera sul viale Karl Johan" è una delle opere meglio riuscite dell'artista. La rappresentazione è molto semplice ed espressiva, con i passanti caratterizzati da facce smorte e l'atmosfera tenebrosa. Le persone sembrano dei fantasmi che vagano senza meta, hanno gli occhi sbarrati e la pelle giallina. La loro umanità è data solo dagli indumenti tipici dell'alta borghesia che stanno ad indicare una ricchezza apparente: la loro espressione denota un vuoto nel proprio animo e ciò li porta a vagare per le strade alla ricerca della felicità come morti viventi, tema che viene introdotto da Munch e verrà ripreso in futuro in altri contesti. Infine, la figura nell'ombra, poco distante dalla folla, rappresenta il pittore stesso, estraneo a tale genere di alienazione.
Nel 1908 Edvard Munch fu colpito da un crollo nervoso dovuto alla sua dipendenza dall'alcool. Egli si sentiva perseguitato ed era spesso in preda ad allucinazioni che lo portarono al ricovero nella clinica del dotto Jacobson, il quale lo aiutò a riprendere le redini della sua vita. Paradossalmente il suo periodo più basso dal punto vista interiore fu seguito dal periodo più allegro dal punto di vista artistico. Col ritorno ad Oslo le cromie si fecero più vivaci e ottimiste e inoltre si conquistò una certa fama in Norvegia. La situazione economica migliorò di molto e provvedette al mantenimento della sua famiglia e all'acquisto di diverse proprietà. La propaganda nazista negli anni a seguire giudicò tutte le sue opere e quelle di altri artisti come "arte degenerata" e furono confiscate ai musei tedeschi. Edvard morì ottantenne il 23 gennaio del 1944.
Quando morì, Munch non sapeva che molte sue opere sarebbero state acquistate da collezionisti privati norvegesi e quindi salvate dalla follia nazista. Le sue opere per lui erano tutto. Raccontavano la sua triste vita, segnata da lutti e delusioni. Ci aveva messo il cuore nei suoi quadri, il suo cuore piangeva da anni, piangeva sangue, quel sangue lo mise sulla tela trasformandolo in rabbia, urla, angoscia, dolore. Il museo a lui dedicato ad Oslo ha qualcosa di magico: si trova nel luogo dove ha vissuto per molto, dove ha sopportato la perdita della madre, dove ha trovato la fama. La forza sprigionata dalle sue tele è ancora forte, molto forte, forse nella vecchia Christiania possiamo ancora sentir riecheggiare l'urlo della sua anima.




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