Logica surreale

"Lo spettacolo del cielo mi sconvolge. Mi sconvolge vedere, in un cielo immenso, la falce della luna o il sole. Nei miei quadri, del resto, vi sono minuscole forme in grandi spazi vuoti" (Joan Mirò).


Nell'ambito della pittura surrealista, Mirò è stato assieme a Dalì colui che ha meglio saputo meglio di chiunque altro rappresentare il "surreale", creando paesaggi e scenari onirici e carichi di colore, ma andò oltre. Diversi critici e scrittori tra cui André Breton lo considerano il più surrealista tra i surrealisti, arrivando ad una completa negazione della pittura e dello stile tradizionale. A differenza di Dalì, inoltre, l'influenza di correnti avanguardiste precedenti e contemporanee è ancor più marcata, rendendolo uno degli ultimi baluardi della pittura del '900, la quale ha poi lasciato spazio alle estremizzazioni del nuovo millennio.

Joan Mirò nacque il 20 aprile del 1893, a Barcellona, da un'umile famiglia che tentò invano di avviarlo a studi inerenti all'economia, in quanto iniziò a disegnare sin da piccolo e intraprese ben presto gli studi artistici prima a Barcellona, dove tra l'altro tenne la sua prima esposizione nel 1918, e successivamente a Parigi, dalla quale fu attirato per la folta comunità artistica lì presente. In questi primi anni, tra Spagna e Francia, Mirò risentì dell'influenza fauvista e dadaista, venne a contatto con gli scritti surrealisti e la conoscenza con Picasso fu fondamentale per la sua evoluzione artistica. Furono però anche anni difficili, e Jean dovette faticare prima di guadagnare i primi successi, al punto da soffrire di allucinazioni per la fame a causa del poco denaro di cui disponeva. Come da lui stesso raccontato, saranno tali allucinazioni a portarlo a realizzare una delle sue prime opere più famose.


Realizzato a cavallo tra il 1924 e il 1925, "Il carnevale di Arlecchino" è un tripudio di surrealismo, anche se l'automatismo psichico utilizzato è di gran lunga differente rispetto al famoso metodo paranoico-critico usato dal collega Dalì. Se quest ultimo osservava la tela bianca per poi riversarvi sopra tutto il suo delirio razionalizzato derivante dalla paranoia, Mirò invece, molto più semplicemente, rappresentava la realtà illusoria che aveva dinanzi, rappresentando di fatto quelli che possiamo definire i turbamenti del suo inconscio. Sono rappresentati elementi come volatili, pesci e insetti, che animano la composizione rendendola dinamica, mentre alcune figure sembrano danzare al ritmo della musica prodotta da una piccola chitarra. Il cerchio verde rappresenta un mappamondo, mentre il triangolo nero non è altro che la torre Eiffel, lasciando presupporre che l'ambientazione sia lo studio stesso del pittore. La scala sulla sinistra indica l'evasione dalla realtà, quella che di cui lui si è servito per realizzare questa festa di musica e colori. L'opera sembra confusionaria, ma sovrapponendo lo schema geometrico del bozzetto con l'opera si può notare una certa logica nella disposizione delle forme, mostrando come al pari di Dalì, se non di più, le opere di Mirò sono figlie di un'unione di razionalità e irrazionalità.

Il primo assaggio di fama lo ebbe con una mostra nel 1928, seguirono il matrimonio, la nascita dell'unica figlia e le sperimentazioni con tecniche che andavano oltre la pittura. Si stabilì a Maiorca dal momento che la Francia era stata invasa dai nazisti, e il complesso quadro politico dell'epoca tardarono l'arrivo del suo definitivo successo, che sopraggiunse a partire dagli anni '50, ricevendo premi e facendo numerosi viaggi oltreoceano. Creò anche una fondazione a Barcellona che tutt'oggi porta il suo nome, dedicandosi anche all'ambito teatrale e realizzando la sua celere scultura "Dona i ocell", che troviamo in un parco a Barcellona a lui intestato.


La serie delle "Costellazioni" è sicuramente uno dei più grandi capolavori di Mirò, e uno dei dipinti più apprezzato è sicuramente "La scala dell'evasione", del 1940. Praticamente Mirò puliva i suoi pennelli usati per una costellazione sulla tavola per creare un fondale, su dove poi sarebbe stata realizzata la costellazione successiva, per cui lo sfondo di una costellazione aveva le tonalità della costellazione precedente, creando una continuità tra le opere della serie e generando interessanti effetti cromatici, risaltati dal contrasto tra lo sfumato dello sfondo e le figure con i contorni decisi e i colori accesi.Le stelle sono rese come cerchi neri con dei filamenti, ma anche come animali o forme geometriche. Una scala in basso si proietta verso lo spazio e proprio come ne "Il carnevale di Arlecchino rappresenta l'evasione dalla realtà logica per proiettarsi nel surreale. 


Mirò per tutta la sua vita sperimentò nuove tecniche, come la pittura su vetro o il grattage, e anche il collage di matrice cubista ebbe un a certa influenza. L'utilizzo di oggetti di uso comune, tecnica adoperata anche dai dada, servì invece a Mirò per creare una personale tecnica artistica. Come possiamo osservare nell'opera "Pittura", Mirò completava dei collage usando vari oggetti o elementi, e successivamente li usava per trarre ispirazione e creare nuove forme per il suo dipinto, e tali figure risaltavano grazie allo sfondo realizzato in modo più sfumato.
Negli ultimi anni della sua vita ricevette sempre più riconoscimenti e partecipò a progetti che esulavano dalle classiche attività di un pittore, dimostrandosi un artista a tutto tondo e sempre al servizio della sua comunità.

Nonostante la vena fortemente surrealista, è riduttivo accostare Mirò solo a questa corrente. Molti suoi dipinti sono in realtà molto studiati e hanno dietro una progettualità importante, aspetto che un po' stona con i concetti di immediatezza e istinto, che siamo soliti accostare al movimento surrealista. In tal modo Mirò ci mostra un lato del pittore surrealista più calmo, meticoloso e attento ai dettagli, e anche il suo stile è molto variato nel corso degli anni, mostrandosi un pittore sperimentale capace di lasciare un'eredità importante all'arte contemporanea. Le sue opere emanano vitalità e non sono mai ripetitive, toccando anche vette minimalista, specialmente nei suoi ultimi anni. Importante era anche il suo rapporto con la scrittura e la poesia, lui stesso affermò una volta che percepiva le sue opere come poesie messe in scena da un pittore.

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